DELGADO –Capitolo XXII: Ci sono vite… EPILOGO

delgado17

Sono passati tre anni dagli avvenimenti di quella giornata che diede una brusca svolta alla mia vita, annullando in poche ore tutti i sogni che avevo coltivato con tanta perseveranza per due mesi, riportandomi alla realtà.
Esco sulla terrazza: sotto di me la spiaggia candida di Miami brulica di vacanzieri; l’Oceano è calmo, lento, la sua voce un enorme sospiro.
Là, oltre l’orizzonte c’è la mia Isola dove né io né mio padre potremo più mettere piede.
La Rivoluzione ha vinto, Raoul è Presidente e Delgado l’eroe nazionale che rappresenta l’Idea, l’anima della rivoluzione per tutto il mondo. Noi siamo in esilio per sempre, qui in America che vede il nuovo regime rivoluzionario come fumo negli occhi. Infatti quando l’anno scorso Delgado in qualità di Ministro degli Esteri ha portato la nuova immagine dell’Isola in tutti i paesi ha evitato l’America, ma ora i tempi sono cambiati .
E’ doloroso per me ricordare gli avvenimenti di quel 28 Giugno di tre anni fa quando la mia vita si capovolse ma il cerchio va chiuso.

All’improvviso ci fu un grande tramestio nella tenda verde dove erano alloggiati i sistemi di comunicazione tra i diversi campi dei guerriglieri; un uomo ne uscì correndo e si diresse alla baracca di Delgado che uscì seguito da Raoul.Restai immobile nell’attesa di un avvenimento che intuivo funesto.
I due uomini poco dopo vennero verso di me:
-Andiamo Princesa, dobbiamo parlare- disse Delgado con voce stanca. Guardai Raoul , il suo viso era immobile, di pietra. Il Comandante mi aveva chiamato Princesa, era la fine.
Come fummo nella baracca:
-Tuo padre ha catturato anche Junito, oltre Lupe e quattro dei miei uomini. Qualcuno di loro ha parlato, ora sa con sicurezza che ti tengo qui, prigioniera. Propone uno scambio; la tua vita per la loro. Ho già risposto di sì, non posso rischiare che ci attacchi, potrebbe sapere di più di quello che dice; partiamo subito, lo scambio avverrà a Mayaguana, stanotte-
Mayaguana, dove tutto era cominciato e dove ora tutto finiva.
-Devo parlarti, da solo-
Delgado si rivolse a Raoul in silenzio. Non ho mai saputo che cosa si fossero detti prima, l’uomo con un sospiro si alzò ed uscì.
Restammo lì, in piedi a guardarci fissi, allungai una mano e la passai sulla camicia ruvida e sudata di Alejandro, poi risalii al viso a rilevarne i contorni, sapevo che era l’ultima volta che potevo farlo.
Lui mi prese la mano e la baciò, un gesto d’altri tempi che poco si addiceva al rivoluzionario:
-Addio Princesa, quando andremo al potere farò in modo che tu non sia toccata , dovevi dirmi qualche cosa?.
-No, nulla .Ora non importa più.
Posso portare via il tuo libro di poesie di Neruda?-
Non rispose: mi abbracciò e restammo lì stretti, senza parlare, la sua bocca sul mio collo io ad aspirare il suo odore che avrebbe dovuto bastarmi per il resto della vita.
-Andiamo ora, preparati. Ti benderemo e tu dirai che ti abbiamo tenuta bendata per tutto questo tempo, so che non ci tradirai, ma tuo padre sa essere molto persuasivo-
-E io sono sua figlia, da me non caverà una parola, nessuno saprà mai nulla neppure di te e di me-
-Non finisce qui, Princesa. Io credo ci siano vite destinate ad incrociarsi al di là del tempo.
Ti ritroverò, se non avrai dimenticato…-
-Se tu non avrai dimenticato e se vivremo-

Queste sono state le nostre ultime parole. Lo scambio avvenne regolarmente, per una volta mio padre fu di parola.
Quando lo riabbracciai mi accorsi di quanto mi era mancato, ma non scordai neppure per un attimo la promessa fatta a Delgado. Del resto ci pensò la mia malferma salute a venirmi in aiuto: appena tornata a casa iniziarono violente crisi d’asma che mi lasciavano prostrata e che mi fecereo temere che avrei perso il bambino, cosa che puntualmente avvenne, e che rese necessario il mio ricovero in Ospedale. Da lì, appena l’emorragia cessò mi ritrovai su un aereo diretto a Parigi, dove c’erano specialisti per i miei polmoni. Questa la scusa ufficiale di mio padre.
E a Parigi rimasi. Dicono che sia triste Venezia, Parigi lo fu molto di più per me in quei giorni.
Cominciavo a realizzare che avevo perso davvero tutto quello a cui tenevo, a cui avevo creduto.
Delgado mi mancava, la sua assenza era un vuoto incolmabile, e con lui il campo e Zoila, che avevo lasciata in lacrime,Carlos, Benicio, Camillo e i miei pazienti poveri.
Mi mancava la mia vita, tiravo avanti come uno zombie, sorvegliata a vista da tre guardie del corpo a cui era impossibile sfuggire. Mi era impedito comunicare in qualunque modo, ero in pratica una prigioniera di lusso.
Mio padre sapeva tutto ma non ne fece mai parola.Consumai le pagine del libro di poesie di neruda, per ritrovarvi le impronte di alejandro, il suo respiro, l’odore dei banani dopo la pioggia…

Un giorno la guerra nella mia Isola finì: vinse la Rivoluzione, mio padre riuscì a fuggire
in America, aiutato dalla Cia. La televisione mi rimandava immagini di Raoul nuovoPresidente e di Delgado, il teorico della rivoluzione. Naturalmente alla mia famiglia era stata interdetta per sempre l’Isola: se avessimo cercato di tornare saremmo stati eliminati.
Poi il genitore mi chiamò qui a Miami, dove si era sistemato in questo lussuoso appartamento.
Mi trovò un marito, naturalmente molto ricco, cinquantenne, noto commerciante d’armi.
Lo sposai senza protestare, ormai i miei giorni si trascinavano, inutili: Robert è gentile con me, mi copre di regali, viziandomi. Ma mi controlla anche lui come mio padre.

Dicevo all’inizio che le cose ora sono politicamente cambiate, infatti il Comandante verrà ufficialmente in visita in America e io so che mio marito lo incontrerà, si sa i soldi non hanno colore…Lo rivedrò perchè:
-Non finisce qui, Princesa. Io credo ci siano vite destinate ad incrociarsi al di là del tempo.
Ti ritroverò, se non avrai dimenticato…-
-Se tu non avrai dimenticato e se vivremo-
Siamo vivi e io non ho dimenticato e neppure lui ne sono sicura…
FINE

 

 

DELGADO – Capitolo XXI: Il ritorno

delgado 58

Arrivati all’Infermeria cercai di ricompormi, passai con Carlos tra i feriti mentre la nausea si andava acquetando e la mente si rischiarava. Poi ci sedemmo al tavolino delle medicazioni e:
-Dimmi tutto, Eva, se vuoi che ti aiuti- la voce del ragazzo era neutra ma lo sguardo, determinato, voleva la verità.
-Credo di essere incinta; c’era una possibilità su un milione che succedesse, ma è successo.
Devo esserne sicura, per questo ho bisogno di te, devi procurarmi un test di gravidanza rapido, poi deciderò che cosa fare-
-Di chi è il bambino? di Delgado?-
-Sì ma non ha importanza, perché lui sa di Juan e lo sai anche tu; non mi crederebbe e poi non è questo il tempo e il luogo per fare figli. Ti prego procurami quel test, voglio essere sicura-
-Vedrò cosa posso fare, domattina devo scendere a Mayaguana per medicinali, avrai quello che ti serve, io manterrò il segreto-

L’avrei rivisto, tra un giorno avrei potuto di nuovo toccarlo, sentire la sua voce, all’improvviso tutto scomparve, restò solo il desiderio di lui così grande da sopraffarmi.
-Grazie Carlos –
-E ora, vuoi parlarmi di Raoul? che ti ha detto? Diffida di te, direi che ti odia, perché, Evita?-
-Carlos, questo non posso dirtelo. Lo farà Delgado se vorrà. Non dipende solo da me, capisci, vero?-
Stranamente non ribatté; invece mi abbracciò e io ricambiai: mi sentii all’improvviso così sola, stanca e angosciata da essere tentata di dirgli tutta la verità ma non potevo; così gli diedi un rapido bacio sulla guancia e poi:
– Andiamo a cercarde Zoila-
Così facemmo; trovammo la ragazzina che giocava a carte con Camillo. Insieme a lei e ai due uomini nostri compagni di tenda riuscii a ingurgitare un poco di cibo.
Il resto del giorno trascorse lentamente tra chiacchere e letture, ora che potevo contare sull’aiuto di Carlos mi sentivo meglio.
Non pensai neppure più a Raoul. Delgado avrebbe saputo che cosa dirgli, ne ero sicura.

Mi addormentai abbracciata a Zoila pensando intensamente al corpo di Alejandro che presto
avrei avuto di nuovo vicino. Con questa idea il mattino successivo mi svegliai di buona ora, quando ancora nelle tende si dormiva. Ricordo che alzai gli occhi al verde tetto di foglie che mi copriva a cercare qualche sprazzo di cielo e lo trovai: quell’azzurro cobalto mi è rimasto dentro
a ricordo di una giornata che non dimenticherò mai più.
Gli dei sono crudeli, con una mano donano con l’altra riprendono e con gli interessi

Mentre andavo a lavarmi incontrai Raoul, anche lui mattiniero. Ci guardammo negli occhi
senza salutarci poi lui disse:
-Ti senti male Evita? sei pallidissima e ieri ti ho visto vomitare, meno male che torna Delgado
altrimenti rischieremmo di restare senza medico-
Il tono era ironico, curioso
-Nulla di serio Raoul, comunque hai ragione, meno male che torna il Comandante, vado a lavarmi-
Sentii il suo sguardo appiccicato alla schiena fino a che non svoltai dietro l’infermeria diretta alla fonte.
Quando ritornai sullo spiazzo vidi che c’erano già alcuni miei pazienti che aspettavano vicino alla tenda verde; avrei dovuto arrangiarmi senza Carlos, pertanto era necessario che mi sbrigassi.
Iniziai con i ricoverati in Infermeria, Benicio mi aiutava per quel che poteva ma impiegai un paio d’ore tra visita, terapie e medicazioni varie.
Poi cominciai a visitare i poveri delle montagne il cui numero intanto .si era ingrossato.
Mentre cercavo di capire che cosa mi stava raccontando la vecchia Bastiana che ormai veniva a trovarmi quasi tutti i giorni arrivò Carlos, che senza dire nulla mi consegnò un pacchetto.
Lo pregai di continuare al mio posto e mi rifugiai in infermeria. Mi tremavano le mani mentre, nello sgabuzzino dei medicinali, estraevo lo stick del test di gravidanza. E quando lo vidi colorarsi di quello stesso blu cobalto del mio cielo…mi calmai.
Una gran pace mi scese addosso, ero incinta, l’impossibile si era verificato. Ora avrei dovuto pensare al da farsi. Intanto c’era Carlos, dovevo dirglielo.
Così ritornai sotto la tenda verde gli mostrai lo stick poi guardandolo fisso:
-Era come sospettavo, ora finiamo con loro, poi ne parliamo-mormorai
-Se non te la senti continuo io, Siediti, è sufficiente che tu sia presente-
-No, nessuno deve sospettare nulla-
E ripresi a visitare mentre una canzone strana, dolce, tenera, mi risuonava dentro.
Cercai di zittirla, tutto inutile.
Finalmernte anche l’ultimo paziente sparì.
-Carlos, sai niente di Delgado? quando arriva?-
.-Dovrebbe essere qui. Ci sono novità, uno dei nostri infiltrati stamane mi ha riferito che hanno catturato Lupe, era ubriaca, non si sa quanto siano riusciti a farle dire o che ha detto spontaneamente.. perché il Coronel è ormai certo c he la figlia scomparsa sia nostra prigioniera o addirittura che l’abbiamo uccisa.
Siamo in pericolo e Raoul è molto preoccupato; ma tu che intendi fare?-
-Non lo so…–
Mi guardò inquieto stava per parlare quando un vociare confuso ci avvertì che Alejandro era tornato.

Seguita dal ragazzo gli andai incontro di corsa: Delgado era a piedi con un guppetto di uomini visibilmente stanchì, il ritorno era stato senza soste, aveva già saputo di Lupe e temeva un attacco a sorpresa al suo quartier generale, il campo 1.
Ma ora, mentre stavamo lì una di fronte all’altro, la guerra era svanita insieme a tutti gli uomini, eravamo soli: mi posò una mano sulla spalla, il suo volto era contratto, respirava rapidamente. Ci guardavamo senza vederci, sentivo che il mio viso era altrettanto nudo del suo e che come il suo gridava:
-Sei tu, sei tu-
senza muoversi di un millimetro.
-Ciao Evita, come stai?- la voce era bassa, un mormorio, una carezza…
-Ti aspettavo-mormorai-da tanto tempo, devo parlarti ti prego prima di …tutti-
e intanto pensavo di non aver mai visto occhi così belli.
Le sue labbra tremarono leggermente ma non potè rispondermi. Raoul stava arrivando alle sue spalle, chiamandolo per nome…
(continua)

DELGADO – Capitolo XX: La ferita di Princesa

delgado25

A quelle parole il respiro si bloccò, ma solo per un attimo: sul mio viso comparve quell’espressione assente ,mia maschera abituale, che tante volte mi ha salvato letteralmente la vita. Poi
-Anche tu? non sei il primo che nota la somiglianza ma se è per questo Lupe insisteva che i miei lineamenti sonoaddirittura simili a quelli di Delgado, evidentemente vi appaio come mi volete vedere… Non ho mai incontrato Princesa,saprai certamente come sono finita qui-
-Sì conosco la storia, so di Carlos, di Juanito, della tua conversione alla rivoluzione se mi permetti un po’ troppo rapida e che ha del miracoloso. Delgado mi ha raccontato la tua storia e il vostro incontro a Mayaguana quando Carlos ti sequestrò per curare Juan ferito. Ti considera la sua donna, lo conosco bene, non ha dubbi al riguardo. Ma io li ho.Siediti, mi innervosisci così alta in piedi-
Ubbidii chiedendomi dove volesse andare a parare, decisa comunque a negare tutto, anche l’evidenza se fosse stato necessario non per proteggere me ma Alejandro.
Guardai Raoul: mi fissava con quegli occhi verdi, gelidi, rabbrividii al pensiero di che cosa potesse essere capace .-Evita ora ti racconto una storia. Prima di conoscere Delgado ero un giornalista, uno di poco conto, più attaccato al rhum e alle puttane che alla carta stampata.Mi guadagnavo da vivere anche bazzicando il pronto soccorso dell’Ospedalede La Conception a Mayaguana dove spesso ricavavo foto e piccoli articoli scandalistici che fanno cassetta. Parlo di dodici anni fa. Allora avevo per amante una grassona medico in turno proprio al pronto soccorso che spesso mi chiamava se succedeva qualche cosa che potesse interessarmi.
Fu lì che una notte, verso le 3 del mattino, noi ci conoscemmo-
Lo guardai inespressiva mentre dentro di me facevo rapidi conti: al tempo di cui Raoul parlava eravamo appena tornatisull’Isola dalla Francia e mio padre era stato nominato capo della polizia segreta dal Presidente allora in carica.

-La cicciona mi telefonò dicendomi di andare subito al pronto soccorso perchè avrei avuto uno scoop da vendere a caro prezzo- continuò l’uomo- Arrivai alla velocità del lampo; c’era una grande confusione, soldati dappertutto che impedivano l’accesso. Seppi così che gli oppositori del regime avevano tentato di rapire i figli di quello che non era ancora El Coronel ma che già si era fatto molti nemici: Amparo di 14 anni e Sebastian di 6; pareva che il bambino fosse stato ucciso per sbaglio dalla sorella che a sua volta era stata ferita gravemente. Dovevo saperne di più, mi ci volevano delle foto; mi venne incontro la mia amante con un lasciapassare per i militari. Entrai e tu eri lì stesa su un lettino, un giovane medico visibilmente agitato ti stava visitando mentre alcuni infermieri ti si affannavano intorno cercando di tamponare il sangue che usciva copioso da una ferita nel ventre. Rimasi immobile mentre guardavo quella sottile linea rossa che dallo sterno arrivava sotto l’ombelico per aprirsi in un fiore purpureo. Eri pallidissima, gli occhi aperti sbarrati, dai fianchi pendevano i lembi di un vestito rosso con dei gancetti. Eri già alta, snella, pensaiche se fossi vissuta saresti diventata una splendida donna. Iniziai a scattare foto ma i soldati mi furono addossso: la mia amante non potè fare nulla.Cercai di resistere, mi riempirono di botte e mi cacciarono fuori a calci.
Davvero Evita non ricordi che successe in quel Giugno di dodici anni fa?-

Lo guardavo inespressiva mentre il respiro mi si congelava, stavo chiudendo rapidamente tutte le porte della mente perché l’orrore non potesse entrare; ma sentivo il nemico forzare le difese. Raoul avrebbe disseppellito tutti i miei cadaveri. Infatti:
-Allora te lo dico io. I ribelli approfittando dell’assenza di tuo padre che era in America per trattare l’acquisto di nuove armi penetrarono nella vostra villa di Mayaguana: fu facile visto che avevano due dei loro infiltrati tra i soldati di guardia. Li sorpresero, erano ben armati e riuscirono
ad arrivare in casa. Tu stavi rientrando allora: eri scappata, pare che la fuga ti fosse abituale come l’eludere la sorveglianza della scorta, per andartene in giro. Abitudine assai pericolosa per la figlia di tanto padre e che non ti ha mai abbandonato. Avevi un vestito rosso allacciato con dei gancetti sul davanti, scollato.. Ti piombarono addosso turesistevi scalciando e graffiando. Allora in due ti inchiodarono al muro e siccome il vestito non si slacciava Ramon, si chiamava così e tu probabilmente l’hai rivisto qui prima che fosse ucciso, con un coltello lo tagliò, ma nella fretta incise anche la carne. Che cosa volesse fare i con il tempo così contato non lo so proprio. Tu ti divincolavi peggio di un serpente, probabilmente ti picchiarono per farti stare ferma e cadesti a terra vicino a un soldato morto; fu un attimo, allungasti la mano, prendesti la sua mitraglietta e cominciasti a sparare alla cieca verso i tuoi rapitori. In quel momento uno di loro arrivava di corsa trascinando Sebastian: li colpisti in pieno tutti e due.
Fosti ferita anche tu al ventre. Poi tutto finì: arrivarono altri soldati, il commando dei rapitori fu sterminato, solo un uomo riuscì a salvarsi, Ramon che fuggì sulle Sierras e che poi si aggregò a Delgado. Tu fosti operata, te la cavasti ma la tua mente cancellò il ricordo di tuo fratello che amavi moltissimo e che avevi ucciso insieme agli avvenimenti diquel giorno lontano.
Tuo padre attuò una repressione feroce tanto che passarono anni prima che gli oppositori della dittatura rialzassero la testa. La famiglia si sgretolò: tua madre già psichicamente debole si ammalò e fu ricoverata in una clinica Svizzera dove è tutt’ora mentre tuo padre iniziò ad amarti di un amore possessivo, assoluto.
Allora…che ne dici della mia ricostruzione? –
La marea dei ricordi stava invadendo la spiaggia vuota della mente mentre Sebastian mi comparve davanti il bel visetto sfigurato dai colpi che io avevo sparato; il dolore della sua morte e l’orrore della colpa mi piombarono addosso provocandomi un dolore fisico talmente intenso da farmi urlare. Ma trattenni il grido: restai lì con un’aria assentefissando Raoul. Non sapevo quanto avrei resistito ma dovevo provarci, per salvare Delgado.

-Non so di che cosa tu stia parlando, Raoul, mai avuti fratelli in vita mia. Non sono Princesa-
risposi stancamente.
-Io invece credo di sì. Ora mi si pone un problema: se sei tu come credo … qui nel nostro unico campo veramentesegreto sta per scoppiare una bomba capace di sterminarci tutti. Ma ci pensi, la figlia del Coronel che riesce a ingannare l’eroe Delgado spacciandosi per una anonima turista e spiare la rivoluzione con calma addirittura nel letto del nemico?
Non posso neppure pensare che il Comandante sappia chi tu sei veramente… perchè allora dovrebbe rendere conto ai suoi uomini di tale inspiegabile comportamento. Conosco talmente bene Delgado per sapere che questo è impossibile. Come mi pare impensabile che el Coronel ti abbia spedito tra noi. No, qualche cosa non torna.
Quindi ascoltami: voglio parlare di questo a Alejandro di persona; tra quattro giorni è di ritorno, nell’attesa tu continuerai la tua vita di sempre, stai lontana da Carlos e non cercare di fuggire, ti ucciderei con le mie mani, tu non sai quanto odio tuo padre e l’avere qui la sua preziosa figlia è una tentazione troppo grande-
-Raoul stai prendendo un granchio clamoroso. Parlane a Delgado, lui saprà che cosa risponderti.
Ora se permetti devo fare il giro in Infermeria-
-Sì ma il fucile e la pistola li lasci qui-
-Non ci contare, vieni a prenderteli – e con un balzo mi spostai all’indietro imbracciaando contemporaneamente il fucile.Ero più veloce di lui, non c’era dubbio.
Ci fissammo ansanti: in quel momento Raoul seppe che aveva ragione e che io lo stavo sfidando.
Ma non era sicuro di capire che cosa stesse succedendo: lessi l’incertezza nei suoi occhi.

Come fui fuori, cercai di controllarmi; ora ricordavo quasi tutto, risentivo nelle orecchie le grida di Sebastian che mi chiedeva aiuto e poi…-
Mi assalì la nausea, cercai di frenarla anche perché vidi Carlos che mi veniva incontro ma non ce la feci: mi appoggiai a un albero contorcendomi in conati di vomito.
Carlos mi raggiunse preoccupato:
-Evita ma che ti succede, hai una aspetto orribile-
-Carlos, credo di…di essere incinta.Devi aiutarmi, devi…-
-Cosa? vieni andiamo in infermeria, Raoul ci sta osservando e la sua faccia non mi piace. Che ti ha detto? – E intantomi abbracciava sorreggendomi mentre la nausea non mi dava respiro.

(continua)

Delgado, Capitolo XIX: Tradimenti e segreti

delgado13

 

I giorni presero a scorrere tutto uguali: nel campo c’era un’atmosfera d’attesa, rarefatta, come se in assenza di Delgado tutto si fosse fermato. Io seguivo i miei malati in Infermeria e dietro la tenda verde, l’ambulatorio, aiutata da Carlos e Benicio.
Raoul stava per lo più rintanato nella baracca del Comandante o nella tenda dove lui e Carlos comunicavano con gli altri campi.
Nel poco tempo libero mi dedicavo a Zoila e alla lettura.
Portai la ragazzina con me al laghetto mostratomi da Lupe appena arrivata con i guerriglieri e la iniziai alle pratiche di igiene personale che le erano pressoché sconosciute. Facevamo il bagno a turno per non lasciare incustodite le armi, ero in un continuo inconscio stato d’allerta. Fu allora che lei scoprì la mia cicatrice: la percorse con il dito domandando:
-E’ stato un coltello vero?-
-Sì, credo di sì, ma non ricordo nulla Zoila, è successo tanto tempo fa.La mia mente ha chiuso le porte ed io non tento di riaprirle.-
-Ho visto Sarita con la stessa ferita ma lei è morta…-
Eravamo sulla riva ci stavamo rivestendo dopo il bagno: la strinsi a me e non domandai nulla, doveva avere ricordi orribili del suo breve passato.

A volte era Camillo ad accompagnarla quando io ero troppo impegnata. L’uomo si era trasformato in una perfetta governante, amava Zoila come se fosse la figlia lontana e questo mi rassicurava.
Carlos era diventato la mia ombra, parlavamo molto, mi confidò i suoi sogni di terminare l’università per fare il medico in una società migliore di quella attuale. Io gli parlavo dell’Europa e della Francia come se quest’ultima fosse davvero il mio paese di cui pativo la lontananza. Non parlammo mai di quella famosa notte a Mayaguana, dell’attrazione improvvisa che avevamo provato l’uno per l’altra appena ci eravamo incontrati sulla spiaggia, di quel letto che era stato per noi fonti di delizie prima che tra le sue mani comparisse una pistola.
Ma era come se qualche “cosa” fosse rimasta in sospeso tra di noi, lo sentivamo, ci metteva a disagio.
Mi parlava molto di Delgado, di come l’aveva conosciuto, di quanto lo stimava e ammirava.
E anche di Lupe che accanto all’uomo per cui aveva abbandonato la sua gente aveva incontrato più sofferenza che passione.
Ascoltavo senza chiedere mai nulla e questo lo meravigliava.
Non sapeva di come io vivessi nell’assoluta certezza di un Amore mai provato prima che non aveva bisogno di conferme, sperando solo che il Comandante tornasse presto perché conoscevo gli appetiti del mio corpo e quanto fosse difficile per me dominarli.
Carlos mi desiderava, me ne accorgevo dalle occhiate inquiete che mi spogliavano, da come si ritraeva in fretta se appena ci sfioravamo per qualche motivo ma l’adorazione per Delgado veniva prima di tutto.
Fino a che non arrivammo a un afoso pomeriggio in cui dovetti fare i conti con quella fame che non conosceva né padroni né giuramenti d’amore.

Era una giornata molto calda e umida ed io stranamente sopportavo male quel clima a cui per altro ero abituata; così, terminate le visite pomeridiane (i miei pazienti aumentavano giorno per giorno) decisi di andare a fare un bagno prima di passare in Infermeria. Avvisai Carlos e mi diressi
al laghetto da sola; Zoila era impegnata con Camillo a giocare a carte, come mi riferì sorridendo Benicio.
Mi spogliai in un attimo e mi gettai in acqua, per immergermi e nuotare verso il fondo, alla ricerca di un po’ di refrigerio.Quando riemersi Carlos, le mani sui fianchi, era sulla riva che mi fissava. Nuotai verso di lui, calamitata dal suo sguardo.
Mi accorsi di quanto fosse bello e giovane con i capelli tagliati corti come i miei e senza quell’aria torva che l’accompagnava sempre. Lentamente uscii dall’acqua mentre una voce dentro mi urlava di correre, coprirmi evitando il ragazzo. Ma non potevo ubbidire, era come se fossi ipnotizzata, la mia sensualità stava giocando una partita già vinta in partenza.
Nessuno dei due disse una parola: gli passai davanti velocemente ma non feci molta strada: le sue braccia mi strinsero con furia, le mani sui seni e sul sesso, mentre mi baciava il collo mormorando il mio nome.
Mi incollai a lui, lo volevo, da troppi giorni il mio corpo era digiuno di uomo, mi accorsi all’improvviso che la mia fame era insopportabile.
Cademmo sull’erba tra i cespugli, mi ferii una coscia con un ramo, ma il ragazzo era già dentro di me e io volavo in paradiso. Avevamo scordato ogni elementare prudenza anche se gli arbusti fitti ci nascondevano alla vista di un eventuale visitatore improvviso. Carlos venne quasi subito, mentre io gli mordevo la mano che mi aveva messo sulla bocca per frenare il grido.Si ricordava di quanto violento e improvviso fosse il mio piacere.
Ma ci mise poco ad essere di nuovo pronto mentre io mi abbandonavo a un fiume rosso, caldo, che mi sommergeva e di cui non distinguevo le rive.
-Da un secolo aspettavo questo momento- mormorò- avrei ucciso Juanito se non fosse stato un compagno- e mi baciò con tanta violenza da procurarmi dolore.
Dolore e piacere, un piatto divino che assaporai fino in fondo quando mi prese da dietro mentre con le dita mi penetrava il sesso.

Ma, placati i sensi, la figura di Delgado riprese forma nella mia e nella sua mente:
-Dovremmo essere fucilati per questo.Abbiamo tradito la sua fiducia-
mormorò staccandosi dalla mia schiena scivolosa di sudore.
Non potei rispondere perché una nausea improvvisa e violenta mi costrinse a terra, mentre tutto intorno a me prese vorticosamente a girare.
-Evita, che hai? che ti succede?-
-Nulla Carlos, vestiti, non ti preoccupare, torna al campo e dì che arrivo ma prima giurami che
dimenticherai quello che è appena successo, giuralo, io lo amo anche se sei libero di non credermi
e morirei piuttosto che confessargli una cosa simile…-
-Ti credo e stai tranquilla, come pensi che mi senta io? ma come faccio a lasciarti sola?
-Vai, muoviti, mi sento già meglio-
Carlos sparì ; mentre mi rivestivo un sospetto assurdo mi attraversò la mente.
Ora che ci pensavo il ciclo era in ritardo di una settimana, questo non era significativo in quella situazione, ma…
Ridicolo, c’era una probabilità su un miliardo che restassi incinta…quando all’improvviso ricordai l’ultima notte con Delgado: allora il corpo e la mente mi avevano mandato un segnale forte e chiaro, possibile che…?
Mi sentii incapace di affrontare una simile eventualità che per me si portava dietro problemi insormontabili. Decisi che, se non fosse successo nulla nei prossimi giorni, avrei fatto un test di gravidanza, ne avrei parlato a Carlos, non avevo altra strada per procurarmi il necessario.
Il malessere era passato e io tornavo la Princesa di sempre. Ora dovevo andare dai miei malati in Infermeria, al resto avrei pensato dopo.
Ma quella doveva essere decisamente una giornata particolare per me perché appena tornata al campo mi dissero che Raoul mi cercava.

L’uomo stava seduto dietro la scrivania con dei fogli sparsi davanti. Notai come mancasse l’odore di sigaro del Comandante e anche come fosse ordinata ora la baracca.
Niente libri di poesia aperti per Raoul
-Vieni avanri Evita-disse -sarei proprio curioso di vedere quella cicatrice di cui parla Zoila e che fa mormorare gli uomini del campo-
Lo sguardo era duro mentre io non rispondevo chiedendomi dove volesse andare a parare.
-Vedi appena arrivato qui mi son reso conto di averti già visto; mi ricordai anche dove e quando ma mi pareva impossibile, fino a che non ho saputo di quel segno che porti addosso.
Anche di quello ho memoria.E’ possibile doc che tu sia Amparo, detta Princesa, la figlia del Coronel?-
(Continua)

 

Delgado- Capitolo XVIII: Tra dubbi e solitudine

delgado4

Rilessi a bassa voce quella poesia che un grande Poeta aveva dedicato alla sua donna, poi chiusi il libro e lo posai sul tavolino insieme ad altri tre che volevo portarmi via. Mi rivestii e attesi sdraiata sulla branda che Delgado e i suoi si allontanassero. Decisi c he sarei andata nella tenda di Camillo da Zoila e avrei chiesto ospitalità fino a che il Comandante non fosse tornato.
Quando fuori fu di nuovo silenzio mi alzai e uscii all’aperto, dirigendomi alla fontana per lavarmi. Un uomo di guardia mi vide e mi salutò indifferente.
Pensai che dovevo scordarmi definitivamente della mia vera identità, altrimenti sarei vissuta in continuo stato di allerta. Per gli uomini del campo ero una nuova compagna che andava a letto col loro Comandante al posto di Lupe e che per caso e fortunatamente era medico come lui.
Nelle tende ancora si dormiva: a passi svelti mi diressi verso quella di Camillo per ritrovare Zoila.
Come misi il piede dentro mi ritrovai di fronte un coltello e il viso stupito dell’uomo che con rapidità fulminea aveva reagito al mio arrivo.
-Perdio doc, chiama prima di entrare, poco ci è mancato che ti infilzassi-
mi soffiò in faccia, poi sorrise:
-Sei qui per Zoila sta dormento e anche Benicio, guarda che due angeli…lei ti ha cercato stanotte-
Il compagno di Camillo era un omone che russava della bella, sdraiato sul sacco a pelo allungato per terra vicino alla branda della ragazzina; lei dormiva in un arruffio di capelli. Dovevo iniziarla al bagno quotidiano, non c’erano dubbi.
-Camillo, posso stare con voi? ho solo questo zaino, quattro libri e il fucile. Dormirò con Zoila, in infermeria non c’è posto e poi vorrei stare con la bambina-
-Certamente, sei la benvenuta, ci stringeremo-
-Grazie ti lascio il bagaglio vado dai malati e a cercare Carlos-
-Ciao Eva, eccomi qui, venivo a cercarti, ho bisogno di te per un compagno che è peggiorato, mi
pare…-
-Arrivo, Camillo parla tu a Zoila, appena posso ritorno-

Mi incamminai verso l’Infermeria con il ragazzo, ad un certo punto:
-Tu lo conoscevi già, vero?-
-Chi?-
-Delgado, aveva ragione Ramon e anche Lupe ma chi sei Eva veramente?-
-Carlos, solo una ragazza che si è trovata sulla tua strada, una che poi ha scelto di stare con voi sulla montagna. Prima che tu mi sequestrassi non sapevo neppure chi fosse Delgado, ora lo so, tutto qui.
-Ma è strano che nessuno ti cerchi, anche se eri qui in vacanza dall’Europa… inoltre…- e si interruppe
-Inoltre che cosa?-
-Prima di partire il Comandante mi ha ordinato di starti vicino, di proteggerti, ha insistito su questo come se tu fossi in pericolo anche qui. E vuole tue notizie ogni giorno-
-Ma…non posso parlargli io? Ti prego Carlos…-
-No, questo l’ha escluso categoricamente, come se, stranamente, non si fidasse completamente di te, non lo so, qualche cosa non mi torna-
-Almeno me lo dirai se è vivo e quando tornerà?-
-Questo lo capirai da sola, Evita. Guarda stanno arrivando i tuoi primi pazienti dai villaggi qui intorno. La tua fama si è diffusa, donna della medicina, diventerai una Santera a tutti gli effetti, per loro-
-Ora controlliamo i malati in Infermeria, poi verrai ad aiutarmi, vero?-
-Naturalmente, avremo parecchio tempo da passare insieme- e sorrise, ammiccando.
Risposi nello stesso modo, mi piaceva che finalmente diventassimo amici.

In Infermeria trovai Raoul in piedi che si stava vestendo
-Buongiorno doc, mi sento benissimo, mi trasferisco da Delgado, così ti libero un letto-
-Vediamo il braccio Raoul, coraggio, siediti-
Lui non sorrideva e neppure io: decisamente la sua presenza mi inquietava; decisi che d’ora in avanti l’avrei evitato il più possibile.
Stava meglio, quindi gli permisi di andare. Cosa che fece immediatamente augurandomi buon lavoro.
Il compagno di cui mi aveva parlato Carlos aveva la polmonite: non era diagnosi facile visti i pochi mezzi di indagine a disposizione; sarebbe stato da ospedalizzare, cosa impossibile; pertanto decisidi cambiare antibiotico aumentando la dose. Era giovane, aveva buone probabilità di cavarsela. Gli altri pazienti stavano abbastanza bene; mi accolsero con cordialità, erano palesemente felici di essere curati da una giovane donna di cui si fidavano. Inoltre capii che già sapevano di me e Delgado: Carlos probabilmente li aveva informati perché stessero attenti a quel che dicevano o facevano. Temevano il loro Comandante quanto lo amavano e questo sentimento veniva automaticamente trasferito su di me.
Mentre cambiavamo le medicazioni arrivò Benicio, il compagno di cella di Camillo, portando per mano Zoila:
-Doc, si è svegliata, voleva vederti a tutti i costi, così Camillo mi ha mandato qui con lei.
Se avete bisogno di una mano per spostare i compagni feriti o altro io sono qui-
Assunsi lì per lì l’omone come aiutante, ora la nostra equipe medica vantava ben tre elementi.
– Comincerai con tenere in ordine l’Infermeria e aiutare i feriti che non possono muoversi.
Ti trasferirai qui, nella branda di Raoul, così potrai chiamarmi subito se qualche cosa non va.
Lo so che sei abituato a Camillo, ma divorziare per qualche tempo farò bene al vostro rapporto. Zoila tesoro, aspettami fuori, arrivo subito.-
Benicio rise insieme agli uomini e non fece alcuna obiezione.
Iniziò subito il nuovo lavoro accompagnando al gabinetto un compagno con una gamba fuori uso.

Quando finii il mio lavoro lasciai Carlos a spiegare a Benicio i suoi primi compiti e uscii dalla grande tenda: Zoila mi aspettava pazientemente seduta su di una pietra. Mi corse incontro e l’abbracciai stretta:
-Hai mangiato? No?Ora andiamo da Camillo, lui provvederà. Poi tesoro vedi quella gente laggiù? sono venuti a farsi visitare da me, ne avrò per alcune ore. Tu mi aspetterai buona buona,mi raccomando. Quando avrò finito ti porterò al mio laghetto, non si vede da qui, così ci laveremo per bene, ti troverò degli abiti puliti, poi vedremo. –
Camillo aveva già preparato la colazione per la ragazzina: erano comparsi come per miracolo dei biscotti e del latte condensato; alla mia richiesta di trovarle degli abiti puliti si esibì in una buffa espressione costernata, poi :
-Vado in magazzino, vedrò di tagliare dei vecchi calzoni, di adattare una camicia, chi me l’avesse detto che avrei fatto la governante- e sorrise malizioso, era un ottimo elemento Camillo, il mio primo vero amico al campo.
-Lasciami pure la bambina, doc, e vai dai tuoi malati , ti aspettano-
Baciai Zoila, ringrazia l’ uomo e mi avviai verso la tenda verde.

Molti dei miei pazienti li conoscevo già, alcuni erano tornati solo per parlare o per avere del cibo, come mi resi conto dopo, non perché fossero peggiorati o soffrissero di nuove patologie.
Quando arrivò Carlos a darmi una mano mi riferì che la coda di quei miseri in attesa si era ulteriormente allungata.
-Se continua così, Eva, avremo presto bisogno di viveri e di medicinali. Devo parlarne a Raoul subito, muovere uomini da qui ora potrebbe essere rischioso.
-Sì Carlos, occupatene tu. Ah, il fucile di Gaumont non mi basta, procurami anche una pistola ,
e un coltello, devo potermi difendere e proteggere Zoila da qualunque pericolo. E non mi dire che devi chiederlo a Raoul, per cortesia-
-Non non te lo dico perché non ne parlerò a Raoul ma a Delgado, appena ci parliamo.Eva , tu capisci vero?-
-Sì Carlos, ma se gli parli digli che ho trovato don Pablo…lui capirà-
Sorrisi allo sguardo sbigottito del ragazzo e mi chinai ad auscultare Feliciana una delle mie pazienti più anziane.
(continua)

Delgado- CapitoloXVII: il sole dentro

delgado40

Intorno a noi tutto scompariva: eravamo soli sulla terra, in una dimensione nuova, primordiale, le cui luci e ombre ci sovrastavano, abbandonati in quella stretta branda che ora rassomigliava a una zattera fluttuante in un Oceano di beatitudine.
Ricordo ogni attimo di quella notte in cui il mondo per me si capovolse, quando capii che tutta la vita precedente non era stata altro che un rincorrersi di eventi che dovevano condurmi a lui, all’uomo che era il mio pricipio e la mia fine.
La luce fievole di una lampada da campo diffondeva intorno a noi un alone di mistero, di irrealtà: il suo volto mi apparve all’improvviso bellissimo come quello di un santo bizantino votato al martirio.
-Sdraiati- gli mormorai-voglio guardarti, toccarti, per portari via con me-
-Via…dove?-
-Non lo so, ho le idee confuse, la mia mente e il mio corpo sono immobili, come in attesa, ti voglio Alejandro come mai ho voluto un uomo-

E così dicendo mi misi in ginocchio sopra di lui, orgogliosa di quella nudità che l’uomo stava contemplando con la stessa fame che divorava me, mentre mormorava:
– Abbiamo pochissimo tempo, Princesa, troppo poco…-
Allora mi chinai di scatto su quel corpo che adoravo: quelle poche ore avrebbero dovuto essermi sufficienti per il resto dei miei sogni o della mia vita, ora non faceva alcuna differenza.
Per questo volli annusare il suo odore, che è come il nome segreto che gli dei hanno dato a ciascuno di noi.
Nessuna donna può dire di conoscere un uomo veramente se prima non l’ha odorato e gustato lì, tra le cosce, alla fonte della vita.
Lo feci sfiorando il sesso eretto con i capelli e con la lingua: il sapore e l’odore erano quelli del sangue, un misto di dolcezza, di secrezioni saline, di seme e di mare.
Poi le mie labbra si chiusero intorno al sesso, mentre con una mano gli accarezzevo il ventre e su fino al petto. Gemeva piano:
– Princesa… se continui in questo modo non resisterò a lungo…-
Ma io non l’ascoltavo, perduta nel suo odore e nel suo sapore, volevo berlo e nutrirmi di lui, non esisteva nulla in quel momento, solo la mia bocca affamata. Allora lui mi afferrò per i capelli e ansante mi costrinse sopra di sè: tra le labbra splendevano i denti bianchi e forti. Incollai la mia bocca alla sua, mentre cercavo di prenderlo in me, il ventre ingordo quanto quell’altra bocca.
Sentivo urgere dentro un cieco istinto animale, Delgado se ne accorse e mormorò:
-Piano, voglio sentirti mentre ti entro dento…-
E intanto mi passava le dita sul collo, lungo la curva della spalla, giù per il fianco fino all’avvallamento della vita, alla curva dell’anca.
Mi sdraiai per accoglierlo, il respiro affrettato, e lui mi fu sopra, penetrandomi lentamente, la bocca in cerca della mia.
Ci trovammo stretti e ansanti; scivolavamo pelle su pelle, stringendo, baciando, leccando, accarezzando e ogni sensazione si perdeva in un gesto, ogni voglia in un movimento obliquo mentre i battiti sempre più accellerati dei nostri cuori erano respiri ravvicinati.
Tra le sue braccia forti persi il senso dei miei contorni, mi baciava e io sentivo il fluire di energia vitale nella miabocca e nel mio ventre, mentre il sangue scorreva febbrile nelle vene.
Ondeggiavamo insieme in un perfetto equilibrio, in una tensione che aspettava solo il momento di dissolversi in un piacere che già sapevo mi avrebbe disfatto la mente.

Cercai di restare lucida ma era impossibile; così mi abbandonai alla corrente aggrappandomi più forte a lui; ora eravamo così vicini e confusi l’uno nell’altra da essere un corpo solo. Restai un attimo in equilibrio sull’orlo della piccola morte, le membra contratte, incollata al suo ventre e bisbigliai:
-Fermati, per piacere,abbracciami forte-
Avevo bisogno di sentirlo mio mentre mi annullavo nell’orgasmo.
Poi persa in sensazioni di luce, di suoni e colori, con mille mani che mi accarezzavano il corpo dal di dentro spingendomi in un abisso di beatitudine assoluta percepii distintamente il mio ventre aprirsi al seme di Alejandro che si ripiegava sopra di me, ansante e sudato.
Un sole improvviso mi si accese dentro.
Strinsi l’uomo con forza, leccandogli golosa il sudore dal collo e dal petto.Fu allora che lui mormorò, incerto:
-Princesa…non so neppure perché te lo chiedo ma…nella tua borsa a Mayaguana non c’erano pillole anticoncezionali… e ora ti ho sentita così calda, pronta…come se fossi senza protezione, ma forse mi sbaglio… –

Il guerriero incespicava nelle parole, con pudore, mentre mi baciava leggermente la spalla, quasi a scusarsi per quello che stava dicendo.
Sorrisi:
-Non posso avere figli Alejandro, esiste una possibilità remotissima che riesca a concepire. Molto tempo fa mi successe qualche cosa che non riesco a ricordare e ci sono anche i miei polmoni malmessi, insomma niente rischi..-
Rimase un attimo a fissarmi con una strana espressione poi :
-La tua cicatrice vero? mi dispiace, perché saresti un’ottima madre-
E ricominciò a baciarmi, mentre il sole nel ventre non si spegneva: per un attimo pensai a un figlio suo e mi trovai a desiderarlo con tutta me stessa.Ricacciai quella insolita proibita voglia per perdermi nel gioco di mani, labbra e parole che stava ricominciando tra noi.
Quella notte riuscimmo anche a parlare; mi raccontò di sé, di come gli fosse nata dentro l’idea di abbandonare la ricca e nobile famiglia per combattere quella rivoluzione, dei suoi rapporti conl’Unione Sovietica.A nessuno ho mai parlatondi questo, sono segreti che moriranno con me.
Mio padre ci ha provato in tutti i modi a farmi parlare, inutilmente, sono sua figlia, mai avrei tradito l’unico uomo che abbia veramente amato.
All’improvviso mi addormentai, con lui ancora dentro, il peso del suo corpo sul mio.

A svegliarmi furono dei rumori fuori: allungai la mano, Delgado non c’era più.
Era ormai l’alba.
Corsi verso la finestra e lo vidi, insieme a un gruppo di guerriglieri, il sigaro in bocca, che controllava una carta parlando e sorridendo.
Mi nascosi, non volevo che si accorgesse di me,della mia angoscia improvvisa; mi resi conto che non mi aveva detto nulla di preciso sul suo viaggio, se ne andava lasciandomi con i malati, Carlos e Raoul, senza neppure una parola.Tornai verso la branda e solo allora mi accorsi che aveva lasciato vicino al mio fucile un libro di poesie di Neruda:” Cento sonetti d’amore”: era aperto, lo raccolsi e lessi la strofa sottolineata:

Nuda sei azzurra come la notte a Cuba,
hai rampicanti e stelle nei tuoi capelli,
nuda sei enorme e gialla
come l’estate in una chiesa d’oro.
Quello fu il suo modo di salutarmi.

(continua)